1 Sam 3,1-17

Il giovane Samuele continuava a servire il Signore sotto la guida di Eli. La parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti.  In quel tempo Eli stava riposando in casa, perché i suoi occhi cominciavano a indebolirsi e non riusciva più a vedere. La lampada di Dio non era ancora spenta e Samuele era coricato nel tempio del Signore, dove si trovava l'arca di Dio. Allora il Signore chiamò: "Samuele!" e quegli rispose: "Eccomi", poi corse da Eli e gli disse: "Mi hai chiamato, eccomi!". Egli rispose: "Non ti ho chiamato, torna a dormire!". Tornò e si mise a dormire. Ma il Signore chiamò di nuovo: "Samuele!" e Samuele, alzatosi, corse da Eli dicendo: "Mi hai chiamato, eccomi!". Ma quegli rispose di nuovo: "Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!".

In realtà Samuele fino allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Il Signore tornò a chiamare: "Samuele!" per la terza volta; questi si alzò ancora e corse da Eli dicendo: "Mi hai chiamato, eccomi!". Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovinetto. 

Eli disse a Samuele: "Vattene a dormire e, se ti si chiamerà ancora, dirai: Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta". Samuele andò a coricarsi al suo posto.

Venne il Signore, stette di nuovo accanto a lui e lo chiamò ancora come le altre volte: "Samuele, Samuele!". Samuele rispose subito: "Parla, perché il tuo servo ti ascolta".

Mc 10,21

Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: "Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi".

Questi due brani della Parola, tradizionalmente, vengono utilizzati per indicare l’inizio del cammino vocazionale, ma essi possono ben accompagnare il cammino di ciascuno nelle diverse età della vita.

La parola di Dio si fece udire a Samuele nella notte, proprio quando tutto è silenzio e l’uomo è solo con se stesso. Samuele dormiva per terra su di una stuoia. Le sette lampade erano accese perché Samuele non era negligente: esse dovevano essere accese giorno e notte.

Dio prende l’iniziativa chiamando il giovanetto.

Viene da immaginare Samuele nella tenda. Fuori la notte silenziosa. Dentro la luce delle sette lampade. Dietro il velo la presenza dell’arca.

Già dalla sua infanzia, Samuele apparteneva all’Eterno e Lo serviva: era stato consacrato dalla madre al culto del Signore (1Sam 1,11.28).

Ma gli mancava la conoscenza personale del Signore e la comunicazione della sua parola. Si può conoscere la salvezza, goderne, e tuttavia non conoscere, in se stessa, la persona del Salvatore. È pure il caso di molte persone: forse anche il nostro?

Allora occorre chiedere al Signore Gesù di farsi conoscere a noi.

Dio parla! Non più in visioni, ma attraverso la sua Parola.

Occorre “ascoltarla”: è anche per noi. Occorre assumere l’atteggiamento di Samuele e ripetere: «Parla, poiché il tuo servo ascolta.»

La risposta di Samuele esprime un’obbedienza immediata.

Il brano di Marco, colto nella sua interezza, narra due momenti: racconta la storia dell'uomo ricco che chiede come raggiungere la vita eterna (Mc 10,17-22), e presenta l’ammonimento di Gesù sul pericolo delle ricchezze (Mc 10,23-27).

L'uomo ricco, alla fine, non accetta la proposta di Gesù, proprio a motivo della sua ricchezza.

Una persona ricca si sente sicura per i tanti beni che possiede. Ha difficoltà ad aprire la mano e a lasciar andare questa sicurezza.

Ma ci possono essere anche poveri con la mentalità da ricchi.

E allora il desiderio delle ricchezze crea in essa dipendenza, con il rischio di diventare schiavi del consumismo. Non hanno tempo per dedicarsi al servizio del prossimo.

La persona (… forse un giovane come informa il vangelo di Matteo …!) arriva vicino a Gesù e chiede: "Maestro buono, cosa devo fare per ereditare la vita eterna?"  . Alle indicazioni di Gesù, segue una risposta decisa della persona coinvolta: già vive in questo modo.

Gesù allora fa un passo ulteriore: vuole tutto l’uomo nella sua interezza. Ha visto che gli manca solo una cosa per realizzare questa completa appartenenza a Dio: essere libero dalle proprie ricchezze.

Gesù non gli chiede qualcosa di più: gli chiede tutto.

L'insegnamento vale per tutti nel senso di saper rinunciare a tutto ciò che non permette di appartenere completamente al Signore, per qualcuno saranno le ricchezze, per altri degli affetti troppo forti, il desiderio di autoaffermazione, i legami o le dipendenze che ciascuno può riconoscere in sé.

Le parole rivolte al giovane ricco fanno cogliere, nella loro pregnanza, le esigenze della sequela; il Signore non le edulcora, mette a tema la radicalità richiesta a tutti coloro che si decidono per Lui.

Leggere entrambi i brani comporta “sapere” di dover, innanzitutto, accogliere la vocazione e non presumere di se stessi, contemporaneamente, però, comporta anche una radicalità sostanziale: andare e vendere tutto per dare ai poveri significa non trattenere e, soprattutto, non trattenersi. Questi due atteggiamenti stanno insieme e il Signore garantisce la sua irrevocabile fedeltà.

1 Cor 3, 22

Tutto è vostro: il mondo, la vita e la morte: le cose presenti come le future; tutto è vo­stro ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.

C.D.C. 710; 711

L'Istituto Secolare è un Istituto di vita consacrata in cui i fedeli, vivendo nel mondo, tendono alla perfezione della carità e si impegnano per la santificazione del mondo, soprattutto operando all'interno di esso.

Un membro di istituto secolare, in forza della consacrazione, non cambia la propria condizione canonica, laicale o clericale, in mezzo al popolo di Dio, salve le disposizioni del diritto a proposito degli istituti di vita consacrata.”.

Paolo VI agli Istituti secolari 1970, n. 9 – 10 -11

“ (…)Qui è la novità, qui è la vostra originalità. Quale sarà in pratica la seconda decisione? Quale la scelta del modo di vivere cotesta consacrazione? Lasceremo o potremo conservare la nostra forma secolare di vita? Questa è stata la vostra domanda; la Chiesa ha risposto: siete liberi di scegliere; potete rimanere secolari. Voi avete scelto, guidati da tanti motivi, certamente bene ponderati, e avete deciso: rimaniamo secolari, cioè nella forma a tutti comune nella vita temporale; e con scelta successiva nell'ambito del pluralismo consentito agli Istituti Secolari, ciascuno si è determinato secondo la preferenza sua propria. I vostri Istituti si chiamano perciò secolari per distinguerli da quelli religiosi.

E non è detto che la vostra scelta, in rapporto al fine di perfezione cristiana che anch'essa si propone, sia facile, perché non vi separa dal mondo, da quella profanità di vita, in cui i valori preferiti sono quelli temporali, ed in cui tanto spesso la norma morale è esposta a continue e formidabili tentazioni. La vostra disciplina morale dovrà essere perciò sempre in stato di vigilanza e d'iniziativa personale, e dovrà attingere ad ogni ora dal senso della vostra consacrazione la rettitudine del vostro operare: l'"abstine et sustine" dei moralisti dovrà giocare un continuo esercizio nella vostra spiritualità. Ecco un nuovo e abituale atto riflesso, uno stato perciò di interiorità personale, che accompagna lo svolgersi della vita esteriore.

E avrete così un campo vostro ed immenso, nel quale svolgere la duplice opera vostra: la vostra santificazione personale, la vostra anima, e quella «consecratio mundi», di cui conoscete il delicato e attraente impegno, e cioè il campo del mondo; del mondo umano, qual è, nella sua inquieta e abbagliante attualità, nelle sue virtù e nelle sue passioni, nelle sue possibilità di bene e nella sua gravitazione verso il male, nelle sue magnifiche realizzazioni moderne e nelle sue segrete deficienze e immancabili sofferenze: il mondo. Voi camminate sul fianco d'un piano inclinato, che tenta il passo alla facilità della discesa e che lo stimola alla fatica della stessa(…)"

Nel XXV anniversario della PME (2 febbraio 1972)

“(…)13. In secondo luogo, la vostra secolarità vi spinge ad accentuare specialmente - a differenza dei religiosi - la relazione col mondo. Essa non rappresenta solo una condizione sociologica, un fatto esterno, sì bene un atteggiamento: essere presenti nel mondo, sapersi responsabili per servirlo, per configurarlo secondo Dio in un ordine più giusto e umano, per santificarlo dal di dentro. Il primo atteggiamento da tenere davanti al mondo è quello del rispetto verso la sua legittima autonomia, verso i suoi valori e le sue leggi (cfr. Gaudium et spes, 36). Tale autonomia, come sappiamo, non significa indipendenza assoluta da Dio, Creatore e fine ultimo dell'universo. Prendere sul serio l'ordine naturale, lavorando per il suo perfezionamento e per la sua santificazione, affinché le sue esigenze siano integrate nella spiritualità, nella pedagogia, nell'ascetica, nella struttura, nelle forme esterne e nell'attività dei vostri Istituti, è una delle dimensioni importanti di questa speciale caratteristica della vostra secolarità. Così sarà possibile, com'è richiesto dal Primo feliciter che "il vostro carattere proprio e peculiare, quello secolare, si rifletta in tutte le cose"(II)(…).

Giovanni Paolo II - Discorso rivolto al II Congresso internazionale degli Istituti Secolari (28 agosto1980)

14 c) La terza condizione sulla quale voglio invitarvi a riflettere è costituita da questa risoluzione che vi è propria: vale a dire di cambiare il mondo dal di dentro. Voi siete, infatti, inseriti nel mondo a pieno titolo e non solo per la vostra condizione sociologica; voi siete tenuti a questa inserzione innanzitutto come per una attitudine interiore. Vi dovete dunque considerare come "parte" del mondo, come impegnati a santificarlo, accettandone totalmente le esigenze che derivano dalla legittima autonomia delle realtà del mondo, dei suoi valori e delle sue leggi.

Questo vuol dire che voi dovete prendere sul serio l'ordine naturale ed il suo "spessore ontologico", tentando di leggere in esso il disegno liberamente perseguito da Dio, ed offrendogli la vostra collaborazione al fine che esso si realizzi progressivamente nella storia. La fede vi dona dei lumi sul destino superiore a cui questa storia è aperta grazie all'iniziativa salvatrice del Cristo; nella rivelazione divina, tuttavia, voi non trovate delle risposte già fatte alle numerose questioni che l'impegno concreto vi solleva. E' vostro dovere di cercare, alla luce della fede, le soluzioni adeguate ai problemi pratici che emergono poco per volta, e che voi non potrete spesso raggiungere se non correndo il rischio di soluzioni solo probabili.

Benedetto XVI ai Partecipanti al Simposio per il 60° anniversario della Provida Mater, 3 febbraio 2007

carattere secolare della vostra consacrazione evidenzia da un lato i mezzi con cui vi adoperate per realizzarla, cioè quelli propri di ogni uomo e donna che vivono in condizioni ordinarie nel mondo, e dall'altro la forma del suo sviluppo, quella cioè di una relazione profonda con i segni del tempo che siete chiamati a discernere, personalmente e comunitariamente, alla luce del Vangelo. Più volte è stato autorevolmente individuato proprio in questo discernimento il vostro carisma, perché possiate essere laboratorio di dialogo con il mondo, quel "laboratorio sperimentale nel quale la Chiesa verifica le modalità concrete dei suoi rapporti con il mondo" (Paolo VI, Discorso ai Responsabili generali degli Istituti Secolari: Insegnamenti, XIV, 1976, p. 676). Proprio di qui deriva la persistente attualità del vostro carisma, perché questo discernimento deve avvenire non dal di fuori della realtà, ma dall'interno, attraverso un pieno coinvolgimento. Ciò avviene per mezzo delle relazioni feriali che potete tessere nei rapporti familiari e sociali, nell'attività professionale, nel tessuto delle comunità civile ed ecclesiale. L'incontro con Cristo, il porsi alla sua sequela spalanca e urge all'incontro con chiunque, perché se Dio si realizza solo nella comunione trinitaria, anche l'uomo solo nella comunione troverà la sua pienezza.

Messaggio del S. Padre Benedetto XVI in occasione del Congresso della Conferenza Mondiale degli Istituti secolari, 18 luglio 2012

La vostra vocazione è di stare nel mondo assumendone tutti i pesi e gli aneliti, con uno sguardo umano che coincida sempre più con quello divino, da cui sgorga un impegno originale, peculiare, fondato sulla consapevolezza che Dio scrive la sua storia di salvezza sulla trama delle vicende della nostra storia.

Papa Francesco ai Partecipanti all’incontro della Conferenza Italiana degli Istituti Secolari – 10 maggio 2014

(…) La vostra vocazione vi rende interessati ad ogni uomo e alle sue istanze più profonde, che spesso restano inespresse o mascherate. In forza dell’amore di Dio che avete incontrato e conosciuto, siete capaci di vicinanza e tenerezza. Così potete essere tanto vicini da toccare l’altro, le sue ferite e le sue attese, le sue domande e i suoi bisogni, con quella tenerezza che è espressione di  una cura che cancella ogni distanza. Come il Samaritano che passò accanto e vide e ebbe compassione. E’ qui il movimento a cui vi impegna la vostra vocazione: passare accanto ad ogni uomo e farvi prossimo di ogni persona che incontrate; perché il vostro permanere nel mondo non è semplicemente una condizione sociologica, ma è una realtà teologale che vi chiama ad uno stare consapevole, attento, che sa scorgere, vedere e toccare la carne del fratello. Se questo non accade, se siete diventati distratti, o peggio ancora non conoscete questo mondo contemporaneo ma conoscete e frequentate solo il mondo che vi fa più comodo o che più vi alletta, allora è urgente una conversione!La vostra è una vocazione per sua natura in uscita, non solo perché vi porta verso l’altro, ma anche e soprattutto perché vi chiede di abitare là dove abita ogni uomo (…) .

Il vasto mondo degli Istituti secolari (cfr. Vita Consecrata n. 10) comprende Istituti secolari (maschili e femminili, i cui membri sono laici) ed Istituti secolari clericali; ad essi appartengono, fin dalle origini, laici e presbiteri che hanno scelto di consacrarsi nella secolarità, intuendo la fecondità del seguire Cristo attraverso la professione dei consigli evangelici nel tessuto storico e sociale in cui la condizione di laici e presbiteri li pone, dando rilievo così, con questa particolare vocazione, alla realtà dell’incarnazione.

I membri degli Istituti secolari sono pienamente consacrati,[1] innanzitutto attraverso il loro Battesimo, e, per quanto riguarda i presbiteri, anche attraverso l’Ordine sacro, come membri del popolo di Dio, ma sono anche chiamati ad offrire la loro vita abbracciando la sequela di Cristo, attraverso le esigenze evangeliche espresse nella forma che la tradizione della Chiesa ha, nella sua saggezza, richiesto ai consacrati, legandosi cioè in modo definitivo attraverso vincoli, voti o promesse, di castità, povertà, obbedienza. E la professione dei consigli evangelici diventa una strada per tendere alla carità, con quella radicalità che non significa rigidità ma gusto pieno e passione creativa. Tale professione non cambia lo stato di vita: si resta laici (o presbiteri).

L’appartenenza ad un Istituto secolare comporta una scelta definitiva e l’impegno di seguire Cristo, assumendo quella proposta di vita che l’Istituto prevede.

È possibile una consacrazione “a tempo”?

La consacrazione è una scelta che “prende” tutta la persona e in modo definitivo, altrimenti non è consacrazione. Anche quegli Istituti che prevedono vincoli temporanei, richiedono sempre l’intenzione della perpetuità con l’impegno di rinnovarli sempre alla loro scadenza.

La singolare sintesi tra secolarità e consacrazione è la specificità degli Istituti secolari; essa è l’origine della loro nascita e, insieme, la ricerca costante e la finalità della vita dei membri degli Istituti secolari.

Bisogna subito dire che fare sintesi tra queste due realtà è ben di più che viverle una accanto all’altra: per essere laici consacrati non è sufficiente essere consacrati che vivono nel mondo: occorre vivere del mondo, per fare delle vicende e dell’agire di Dio nel mondo la sostanza della consacrazione.

Prima tra tutte fondamentale è la scoperta di una profonda sintesi esistente tra la concretezza della vita e l'adesione alla fede, scoperta senza dubbio non esclusiva dei consacrati secolari ma da loro particolarmente avvertita. Essa costituisce la base della loro scelta di consacrazione: non esistono una storia sacra e una storia profana, un tempo per la società ed uno per Dio; la vita è fatta d'innumerevoli aspetti, ma è un'unica esperienza che può essere percorsa pienamente con la consapevolezza di una relazione fondante con il Signore della storia.

Il sopprimere o sminuire un aspetto o un altro (consacrazione o secolarità), o subordinare un aspetto all’altro, costituisce la perdita di identità degli stessi Istituti secolari e una decurtazione della secolarità della Chiesa, con il pericolo che questa perda la prospettiva di una positiva relazione con il mondo.

Rimarrà sempre tuttavia la paradossalità della sintesi tra i due termini che sembrano escludersi a vicenda.

Ma questa consacrazione che cosa aggiunge al Battesimo? Che differenza c’è  tra un consacrato secolare e un cristiano comune?

La consacrazione secolare non aggiunge nulla a quella battesimale  come, del resto, non aggiungono nulla al battesimo né la consacrazione religiosa né il sacramento dell’ordine; la questione non è qualcosa che si aggiunge, ma è la modalità specifica per vivere la consacrazione battesimale. Non si tratta di marcare una differenza, ma di vivere il proprio Battesimo, attraverso la propria vocazione: la consacrazione nel mondo è una vocazione.

Profondamente radicati nel mondo, nel proprio contesto socio-culturale, profondamente radicati in Cristo, i consacrati secolari sentono l’adesione alla proposta della sequela come dimensione strutturale portante della loro esistenza. Colgono l’annuncio della possibilità di una vita evangelica secondo le beatitudini da realizzarsi nell’ordinarietà del quotidiano. In esso, anzi, sono invitati a riscoprire la pregnanza dei consigli evangelici, la loro significatività in ordine ad una piena dedizione e quindi alla realizzazione di una gioia più autentica.

È l’invito a portare la consacrazione all’interno stesso della realtà secolare, nel cuore del mondo e della vita, sapendo e scoprendo la positività del creato, facendo del mondo il “luogo teologico”, come ha detto Paolo VI, di questa originale vocazione.[2]

Che cosa significa vivere le beatitudini nell’ordinarietà del quotidiano?

Significa essere profondamente inseriti nella realtà, senza segni distintivi, cercando di vivere il Vangelo nelle comuni condizioni di vita. Vivendo accanto agli altri nella professione, negli impegni sociali ed ecclesiali, nell’assumersi le responsabilità che la vita chiede.

L’immagine evangelica del fermento, del lievito nascosto indica lo stile dell’azione apostolica. Silenzio, nascondimento, discrezione informano l’operare dei laici consacrati. Non si tratta di un occultamento, ma di condivisione e solidarietà con chi vive la propria vita ordinaria. Le motivazioni che guidano e sostengono ogni membro possono non essere conosciute all’esterno e la sua azione può anche non essere capita come una testimonianza cristiana. Ma tutto questo, come il lievito nella pasta, per la potenza di Dio, è destinato a portare frutto.

Lo specifico dello stile di vita secolare è un’azione apostolica esercitata “a modo di fermento”, cioè in modo discreto e avendo fiducia, per così dire, della ‘pasta’, cioè del mondo. Tant’è che il documento più significativo che segna la nascita degli Istituti secolari, il Primo Feliciter, dice che il loro apostolato si deve esercitare “ex-saeculo” (n. 6), cioè a partire dal mondo, cercando quindi nell’attività umana le ragioni ed il senso della loro azione. E sempre l’impegno è per la costruzione di un mondo più giusto e più umano.

Questa loro specificità si è mantenuta ed è stata approfondita negli anni dal magistero del Papa; rivolgendosi ai membri degli Istituti secolari, Papa Benedetto afferma che “a voi non è chiesto di istituire particolari forme di vita, di impegno apostolico, di interventi sociali, se non quelli che possono nascere nelle relazioni personali, fonti di ricchezza profetica” (2 febbario 2007, cit.); Papa Francesco ribadisce che “conducete una vita ordinaria, priva di segni esteriori, senza il sostegno di una vita comunitaria, senza la visibilità di un apostolato organizzato o di opere specifiche” (10 maggio 2014, cit.).

Questa volontà di non privilegiare segni esteriori e visibilità, secondo le categorie del Regno di Dio, spiega anche la discrezione con cui i laici consacrati vivono in mezzo alle comunità umane cui la loro professione e, in generale, la loro vita li chiama a vivere. Per essi, il riserbo circa la loro vocazione non è una strategia per facilitare l’accesso nei vari ambiti di vita, ma esprime una dimensione spirituale: vivere il mistero della piccolezza del Regno, che chiede di saper fare il bene senza rumore o protagonismi, essere dentro la realtà per condividere la vita quotidiana di tutti, testimoniando la carità di Cristo, non sottraendosi alle responsabilità del vivere.

Nel contesto odierno che sembra privilegiare l’apparenza e la visibilità e ciò che sia immediatamente comprensibile e fruibile, la consacrazione secolare sceglie, per propria natura, la logica del lavorare dall’interno, anche nel nascondimento, per consentire alla realtà tutta di scoprire la bellezza dell’amore di Dio.

Camminare accanto alle donne ed agli uomini di oggi, vivendo le situazioni della vita alla luce del Vangelo, cercando di essere coerenti con esso. Il lievito non si vede, ma senza di esso la pasta non fermenta: è importante non pensare che l’unica modalità per essere cristiani sia quella della visibilità e dell’annuncio diretto della parola, vi è anche un modo semplice, nascosto, ma determinato di “dire” il Vangelo con la testimonianza della vita.

La vocazione alla secolarità consacrata esprime la totale appartenenza al Signore e, contemporaneamente, la dedizione senza riserve ai fratelli; con un grande amore nei confronti del mondo ed una passione senza pentimento al servizio nella storia, i consacrati secolari operano senza sosta perché l'uomo e tutte le realtà create ritrovino in Cristo  il proprio autentico significato, a gloria del Padre.

Entro la Chiesa, anche se non direttamente impegnati in attività pastorali, i laici consacrati sono aperti a tutte le dimen­sioni della vita secolare, esercitando l'apostolato nel mondo e con i mezzi del mondo, secondo i biso­gni del tempo.

Essi vivono nelle comuni condizioni della vita, condividendo la sorte delle persone del loro ambiente (familiare, professionale, sociale, ecclesiale, ecc.), partecipano secondo le proprie capacità al dinamismo della realtà sociale nelle sue varie espressioni.

La consacrazione, senza modificare o atte­nuare la loro condizione secolare, li impegna a seguire Cristo nella via dei consigli evangelici.

Qualunque attività esercitino, I laici consacrati lavorano con profondo senso della Chiesa e, nel loro impegno ecclesiale, espri­mono la massima attenzione nei confronti delle istanze concrete che il loro ambiente di vita pone.

La consacrazione secolare non aggiunge nulla alla consacrazione battesimale, ma, semplicemente, esprime una modo specifico di viverla.

[1] Perfectae Caritatis, n. 11

[2] Paolo VI, Discorso ai Responsabili generali degli Istituti secolari, 1972

Mt 13, 33

Il regno dei cieli è simile a un po' di lie­vito  che una donna ha preso e nascosto in tre misure di farina.

Gv 3,16

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”.

G.S. pr.

- “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. 

Paolo VI 1972 ai membri I.S.

4. Se rimangono fedeli alla loro vocazione propria gli Istituti Secolari diverranno quasi "il laboratorio sperimentale" nel quale la Chiesa verifica le modalità concrete dei suoi rapporti con il mondo. E perciò essi devono ascoltare, come rivolto soprattutto a loro, l'appello della Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi: "il loro compito primario… è la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti e operanti nelle realtà del mondo. Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell'economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale" (n. 70).

Paolo VI- E N. 1970

“È perciò che essi devono ascoltare, come rivolto soprattutto a loro, l’appello dell’esortazione apostolica “Evangelii Nuntiandi”: “Il loro compito... è la messa in opera di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti e attive nelle cose del mondo. Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, del sociale, dell’economia, ma ugualmente della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, dei mass media”.

Paolo VI: Discorso ai Responsabili generali degli Istituti secolari, 20 settembre 1972

“La vostra condizione esistenziale e sociologica diventa vostra realtà teologica; è la vostra via per realizzare e testimoniare la salvezza. Secolarità indica la vostra inserzione nel mondo. Essa però non significa soltanto una posizione, una funzione, che coincide col vivere nel mondo esercitando un mestiere, una professione ‘secolare’. Deve significare innanzitutto presa di coscienza di essere nel mondo come luogo a voi proprio di responsabilità cristiana.”

Cod. Dir. Can. C 713, § 2

I laici “partecipano nel mondo e all’interno di esso, della funzione evangelizzatrice della Chiesa sia mediante la testimonianza di vita cristiana e di fedeltà alla propria consacrazione, sia attraverso l’aiuto che danno perché le realtà temporali siano ordinate secondo Dio e il mondo sia vivificato dalla forza del Vangelo”

Giovanni Paolo II 1980

Che i laici abbiano, in questo campo, un compito specifico, io ho avuto occasione di sottolinearlo in diverse riprese, in consonanza stretta con le indicazioni date dal Concilio. "In quanto popolo santo di Dio - dicevo per esempio a Limerick, durante il mio pellegrinaggio in Irlanda - voi siete chiamati a svolgere il vostro ruolo nel evangelizzazione del mondo. Sì, i laici sono 'una stirpe eletta, un sacerdozio santo'. Essi pure sono chiamati ad essere 'il sale della terra' e 'la luce del mondo'. E' loro vocazione e loro missione specifica manifestare il Vangelo nella loro vita e inserirlo così come un lievito nella realtà del mondo ove essi vivono e lavorano. Le grandi forze che reggono il mondo - politica, mass-media, scienza, tecnologia, cultura, educazione, industria e lavoro - sono propriamente i campi dove i laici hanno specificamente competenza per svolgere la loro missione. Se queste forze sono dirette da persone che sono veri discepoli del Cristo e che, nello stesso tempo, per le loro conoscenze ed i loro talenti, sono competenti nel loro campo specifico, allora il mondo sarà veramente cambiato dal di dentro per la potenza redentrice del Cristo"

Benedetto XVI ai Partecipanti al Simposio per il 60° anniversario della Provida Mater, 3 febbraio 2007

A voi non è chiesto di istituire particolari forme di vita, di impegno apostolico, di interventi sociali, se non quelli che possono nascere nelle relazioni personali, fonti di ricchezza profetica. Come il lievito che fa fermentare tutta la farina (cfr Mt 13, 33), così sia la vostra vita, a volte silenziosa e nascosta, ma sempre propositiva e incoraggiante, capace di generare speranza. Il luogo del vostro apostolato è perciò tutto l'umano, non solo dentro la comunità cristiana - dove la relazione si sostanzia di ascolto della Parola e di vita sacramentale, da cui attingete per sostenere l'identità battesimale - dico il luogo del vostro apostolato è tutto l'umano, sia dentro la comunità cristiana, sia nella comunità civile dove la relazione si attua nella ricerca del bene comune, nel dialogo con tutti, chiamati a testimoniare quell'antropologia cristiana che costituisce proposta di senso in una società disorientata e confusa dal clima multiculturale e multireligioso che la connota.

Papa Benedetto XVI, incontro con gli Istituti secolari in occasione del 60° della Provida Mater

 “… si individuano i caratteri della missione secolare: la testimonianza delle virtù umane, quali "la giustizia, la pace, la gioia" (Rm 14,17), la "bella condotta di vita", di cui parla Pietro nella sua Prima Lettera (cfr 2,12) echeggiando la parola del Maestro: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16). Fa inoltre parte della missione secolare l'impegno per la costruzione di una società che riconosca nei vari ambiti la dignità della persona e i valori irrinunciabili per la sua piena realizzazione: dalla politica all'economia, dall'educazione all’impegno per la salute pubblica, dalla gestione dei servizi alla ricerca scientifica. Ogni realtà propria e specifica vissuta dal cristiano, il proprio lavoro e i propri concreti interessi, pur conservando la loro relativa consistenza, trovano il loro fine ultimo nell'essere abbracciati dalla stesso scopo per cui il Figlio di Dio è entrato nel mondo. Sentitevi, pertanto, chiamati in causa da ogni dolore, da ogni ingiustizia, così come da ogni ricerca di verità, di bellezza e di bontà, non perché abbiate la soluzione di tutti i problemi, ma perché ogni circostanza in cui l'uomo vive e muore costituisce per voi l’occasione di testimoniare l'opera salvifica di Dio”.

Messaggio del S. Padre Benedetto XVI in occasione del Congresso della Conferenza Mondiale degli Istituti secolari, 18 luglio 2012

“…la vostra identità dice anche un aspetto importante della vostra missione nella Chiesa: aiutarla cioè a realizzare il suo essere nel mondo, alla luce delle parole del Concilio Vaticano II  […]. È sempre il Concilio a ricordarci come la relazione tra Chiesa e mondo vada vissuta nel segno della reciprocità, per cui non è solo la Chiesa a dare al mondo, contribuendo a rendere più umana la famiglia degli uomini e la sua storia, ma è anche il mondo a dare alla Chiesa, così che essa possa meglio comprendere se stessa e meglio vivere la sua missione

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